In questi giorni tutti tentiamo di capire il successo del PD targato Renzi e, soprattutto, di capire che cosa è – o che cosa è diventato – il Partito Democratico.
Da sempre io auspico – lo dico con una formula di comodo – un partito democratico all’americana: liquido, leggero, trasversale, laico. Costruito attorno ad alcuni valori imprescindibili, ricco di multiformi dialettiche interne, ma sempre pronto a compattarsi sui grandi temi e naturalmente sulle grandi battaglie elettorali.
So bene che l’Italia non è l’America (USA), ma è evidente che l’Italia, nel bene e nel male, si sta americanizzando (persino, ormai, nella componente multietnica della sua gente). E, volenti o nolenti, il processo è irreversibile.
Il PD deve adeguarsi a questo processo. Non c’è più tempo per i ripiegamenti nostalgici dei nostalgici, non c’è più spazio per tentare di costruire un apparato partitico vecchio stile (tra l’altro, cosa non da poco, non ci sono comunque più le risorse economiche per garantire una rete concreta di persone e servizi ad hoc), non è auspicabile un ritorno al correntismo ideologico.
E, in ogni caso, al di là delle nostre aspirazioni, credo proprio che la mutazione genetica del PD sia già avvenuta grazie allo tsunami Renzi che più o meno volontariamente ha finito col plasmare proprio quel partito che alcuni di noi, fra i veltroniani della prima ora, abbiamo ipotizzato (ma non siamo riusciti a fare). Un partito similamericano (senza Kappa!).
“Il Pd, che non è più la continuazione dei partiti che l’hanno preceduto. E’ un’altra cosa, nuova: non più un partito di sinistra, e nemmeno di centrosinistra. Non direi neppure una reincarnazione della vecchia Dc: anche in quel partito coesistevano interessi e rappresentanze sociali molto diverse, ma ciascuna era fortemente connotata ideologicamente, aveva proprie specifiche culture e leader di storico peso. Anche il partito renziano è un arcobaleno sociale, ma le sue correnti sono assai meno chiare, hanno un peso assai minore, scarsi riferimenti nella tradizione di tutte le formazioni che l’hanno preceduto in questi quasi 25 anni.
Se si dovesse trovare una similitudine direi piuttosto che si tratta del Partito democratico americano. Che certo non oserebbe mai prendersela a faccia aperta con i sindacati cui è sempre stato legato, ma certo include nelle sue file – basti guardare ai finanziamenti che riceve – ceti diversissimi per censo, potere reale, cultura. (Pd, il partito americano -Luciana Castellina, http://ilmanifesto.it/pd-il-partito-americano )
Dunque, ci troviamo di fronte – io dico: finalmente! – un partito nuovo. Da qui dobbiamo ripartire. Senza rimpianti. Senza confini. Senza tentazioni scissionistiche da infantilismo marxista. Sereni e fiduciosi. Perché le nuove generazioni – quelle del tablet e dello smartphone, quelle dei voli low cost e della cultura fusion, quelle che finalmente cominciano a chiedere una scuola meritocratica e seria… – sono molto meglio di come le abbiamo descritte e della società che abbiamo lasciato loro.
Intanto consiglio a tutti di leggere l’articolo di Luciana Castellina (http://ilmanifesto.it/pd-il-partito-americano/ ) da cui ho preso la precedente citazione. La pars destruens (analisi) è condivisibile (anche se naturalmente Luciana vede l’americanizzazione del PD come una grave iattura, mentre io…). mentre la sua pars costruens (l’invito ai sinistri a sinistra del Pd a riunirsi in un nuovo e compatto movimento dietro la bandiera di Tsipras) mi pare ormai del tutto inutile, antistorica, anacronistica. Perché anche la sinistra (?!) dovrebbe ormai imparare che in politica conta chi conta. Gli altri – più o meno solitari – abbaiano alla luna.
Per comodità riporto qui il primo pezzo dell’articolo, quello analitico (di cui, ripeto, condivido la sostanza, ma non l’allure pessimista)
Pd, il partito americano – Luciana Castellina, 29.5.2014
Dentro il voto. Non più di sinistra, né di centrosinistra. Neanche una reincarnazione della vecchia Dc
Il risultato italiano del voto del 25 maggio non è di quelli che possono essere frettolosamente giudicati. Mi limito a qualche considerazione provvisoria.
Mentre gli spostamenti dell’elettorato negli altri paesi europei appaiono abbastanza leggibili, i nostri sono più complicati. Per molte ragioni: innanzitutto perché sono entrate in scena forze che prima non c’erano, e non solo che si sono ingrandite o rimpicciolite.
Fra queste metterei anche il Pd, che non è più la continuazione dei partiti che l’hanno preceduto. E’ un’altra cosa, nuova: non più un partito di sinistra, e nemmeno di centrosinistra. Non direi neppure una reincarnazione della vecchia Dc: anche in quel partito coesistevano interessi e rappresentanze sociali molto diverse, ma ciascuna era fortemente connotata ideologicamente, aveva proprie specifiche culture e leader di storico peso. Anche il partito renziano è un arcobaleno sociale, ma le sue correnti sono assai meno chiare, hanno un peso assai minore, scarsi riferimenti nella tradizione di tutte le formazioni che l’hanno preceduto in questi quasi 25 anni.
Se si dovesse trovare una similitudine direi piuttosto che si tratta del Partito democratico americano. Che certo non oserebbe mai prendersela a faccia aperta con i sindacati cui è sempre stato legato, ma certo include nelle sue file – basti guardare ai finanziamenti che riceve – ceti diversissimi per censo, potere reale, cultura.
Se dico Partito democratico americano è perché il nuovo partito renziano segna soprattutto un passaggio deciso all’americanizzazione della vita politica: forte astensione perché una fetta larga della popolazione è tagliata fuori dal processo politico inteso come partecipazione attiva e dunque è disinteressata al voto; assenza di partiti che non siano comitati elettorali; personalizzazione dettata dalla struttura presidenziale. Il fatto che in Italia ci si stia avvicinando a quel modello è il risultato del lungo declino dei partiti di massa, che ha colpito anche la sinistra, e della riduzione della competizione agli show televisivi dei leaders che tutt’al più i cittadini possono scegliere con una sorta di twitter: “i piace” o “non mi piace”.
E’ un mutamento credo assai grave: immiserisce la democrazia la cui forza sta innanzitutto nella politicizzazione della gente, nel protagonismo dei cittadini, nella costruzione della loro soggettività che è il contrario della delega in bianco.
Inutile tuttavia piangere di nostalgia, una democrazia forte fondata su grandi partiti popolari non mi pare possa tornare ad esistere, o almeno non nelle forme che abbiamo conosciuto. Prima ancora di pensare a come ricostruire la sinistra dobbiamo ripensare il modello di democrazia, non abbandonando il campo a chi si è ormai rassegnato al povero scenario attuale: quello che Renzi ci ha offerto, accentuando al massimo il personalismo, il pragmatismo di corto respiro, la rinuncia alla costruzione di un blocco sociale adeguato alle trasformazioni profonde subite dalla società (che è mediazione in nome di un progetto strategico fra interessi diversi ma specificamente rappresentati e non un’indistinta accozzaglia unita da scelte falsamente neutrali.)
Detto questo credo sia necessario evitare ogni demonizzazione di quel 40 e più per cento che ha votato Pd: non sono tutti berlusconiani o populisti, e io sono contenta che dalle tradizionali zone di forza della vecchia sinistra storica siano stati recuperati al Pd voti che erano finiti a Forza Italia o a Grillo. Perché il voto al Pd per molti è stato un voto per respingere il peggio, in un momento di grande sofferenza e confusione della società italiana. Non vorrei li identificassimo tutti con Renzi, sono anche figli della storia della sinistra.
continua: http://ilmanifesto.it/pd-il-partito-americano/
Molto interessante.Io però credo che il Partito Renziano proprio perchè assomiglia a un partito arcobaleno sociale, sia ancora una formazione politica non definita. Renzi è indubbiamente il catalizzatore di una trasformazione politica importante ma non ancora definita. Indietro non si torna, ma non siamo ancora la partito democratico americano. E non so nemmeno se lo diventeremo.
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alcune pari del commento le condivido in pieno, in particolare la pragmatica presa d’atto di una nuova situazione partitica e sociale…quella dalla quel riprendere un discorso politico srio, di attività e idee…perà non ammiro lo stile mericano del partito come comitato elettorale..piuttosto la questione della fluidità e leggerezza dell’essere agglomerato politico al giorno d’oggi…con le forze possibili…renzi ha il pregio dell’essere leader…ma dietro ci deve essere un costrutto significatico di principi e direzioni solide.diversamente io futuro appare fosco. pochi principi ma saldi e ben chiarito.uguaglianza, redisribuzione, qualità sociale.scuola cultura e welfare universal (anche se progressivo)…qui si apre un mondo.purchè non abbia solo un volto….bensì un colletivo….vedremo,
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